I grammatici latini – Anna Zago
Come si insegna il latino a chi (in teoria) lo conosce e lo parla già?
Come insegnavano la loro lingua i Romani?
Esistevano correnti di pensiero, tendenze pedagogiche, mode didattiche, come ci sono ora nelle nostre scuole?
Per rispondere a queste e altre simili domande, noi possediamo un vastissimo repertorio di testi che va sotto il nome di Grammatici Latini: nell’esperienza comune degli studiosi del mondo antico, questa etichetta designa una raccolta in otto volumi pubblicata dal filologo tedesco Heinrich Keil e da alcuni collaboratori fra il 1855 e il 1880. Si tratta di una massa di testi spesso monotoni, al limite dell’aridità, che per pagine e pagine si interrogano sulle lettere, sulle sillabe, sulle tipologie di nomi e verbi, sulla metrica e su mille altri argomenti che in effetti non sembrano fatti per suscitare gli entusiasmi degli studenti, ora come allora. Tutto qui? Ovviamente no.
Per la mia personale esperienza di studiosa di testi grammaticali latini, i motivi di interesse (oserei quasi dire di fascino) dei grammatici latini sono sostanzialmente due.
In primo luogo, una constatazione che potrà sembrare banale: questi maestri spiegano il latino in latino. Non è un gioco erudito, ma un modo particolarmente efficace di entrare nelle loro menti, di sedere nelle loro classi, di capire cosa pensavano della propria lingua e come la descrivevano.
Cos’era facile, per loro? Cos’era difficile? C’erano argomenti soft e argomenti più ostici, di quelli che necessitano tanto esercizio e tante spiegazioni? Qualche cosa di inaspettato c’è, anche a una prima analisi: in latino non esiste l’articolo, eppure i maestri di scuola usano l’aggettivo dimostrativo hic, haec, hoc (‘questo’, ‘questa’) per accompagnare le declinazioni, che – confortante certezza – venivano fatte ripetere a memoria agli studenti di duemila anni fa come ai nostri adolescenti al liceo: haec rosa, huius rosae, huic rosae… L’aggettivo così come noi lo conosciamo non si trova, perché per i maestri romani è un nomen, un sostantivo, che ‘si aggiunge’ a un altro nome: un adiectivum, appunto. I grammatici di tutti i tempi, siano essi dei linguisti che scrivono un trattato impegnato o dei semplici maestri di scuola che tirano a campare raggranellando una classe di allievi disparati (e spesso disperati), si sforzano sempre e comunque di ‘scomporre’ la loro lingua e di parcellizzarla, di catalogare tutto, di costruire un sistema complesso ma funzionante. Tutto questo per dare all’allievo l’idea di un enorme castello, la Latinitas, i cui bastioni sono i grandi autori che fungono da modelli indiscussi e quasi fuori dal tempo: Virgilio e Cicerone, ovviamente, ma anche autori di teatro come Terenzio e storici come Sallustio.
Il secondo motivo di interesse risiede per me nella varietà di questi testi, che possono sembrare tutti uguali solo se non ci interroghiamo sulle condizioni materiali in cui sono stati prodotti e utilizzati: c’è il grammatico di età repubblicana, che compone opere linguistiche fra una battaglia e l’altra (qualcuno ha detto Cesare?); c’è il maestro di età imperiale, un ex schiavo che è un grammatico impareggiabile ma ha il vizio di allungare le mani sui ragazzi (storia vera: ce lo racconta Svetonio a proposito di Remmio Palemone); ci sono le grammatiche bilingui per insegnare il latino ai grecofoni, ci sono grammatici ‘cittadini’ e grammatici ‘di periferia’ (Africa e Gallia, soprattutto, dove il latino non era certo quello di Roma centro). Ci sono grammatici ‘facili’, che insegnano quel che noi ora chiameremmo ‘latino zero’, e grammatici difficili, che discutono i temi più complessi mettendo a confronto tutte le fonti in loro possesso e spesso prendendo posizioni nuove o innovative.
E infine ci sono i grammatici misteriosi, di cui conosciamo solo il nome o un singolo frammento citato da altri autori molti secoli dopo; e i grammatici ancora sconosciuti, nascosti nei manoscritti che giacciono qua e là, nelle biblioteche di tutto il mondo, in attesa di unire la loro voce al coro di tutti gli insegnanti che, allora come oggi, credono che il latino sia una lingua bellissima che vale la pena di insegnare a tutti.
Anna Zago, ricercatrice in lingua e letteratura latina
Per saperne di più
E.S. McCartney, Was Latin Difficult for a Roman?, “The Classical Journal” 23 (1927), pp. 163-182
R.A. Kaster, Guardians of Language: The Grammarian and Society in Late Antiquity, Berkeley / Los Angeles / London: University of California Press 1988.
J.E.G. Zetzel, Critics, Compilers, and Commentators: An Introduction to Roman Philology, 200 BCE-800 CE, Oxford: Oxford University Press 2018.
P.H. Matthews, What Graeco-Roman Grammar Was About, Oxford: Oxford University Press 2019.