Insegnare il latino con esempi d’autore: citazioni letterarie nei grammatici antichi – Fatima El Matouni
È ben noto che molti dei frammenti che possediamo di opere della letteratura latina quasi del tutto perdute ci sono arrivati grazie al lavoro dei grammatici antichi. Più misteriosa può sembrarne la ragione: perché passi di poesia, teatro, storiografia e altro ancora si trovano in manuali il cui fine, almeno quello dichiarato, era l’insegnamento della lingua?
Qualche idea ci viene suggerita dal confronto con i moderni manuali di grammatica (italiana come di qualsiasi altra lingua), in cui, per aiutare la comprensione e la memorizzazione, si ricorre spesso ad esempi, che nella maggior parte dei casi sono elementari e frutto della fantasia dell’autore, ma a volte – le trattazioni sulle figure retoriche ne sono spesso un terreno privilegiato – sono delle vere e proprie “citazioni d’autore”.
Per i grammatici antichi funzionava un po’ allo stesso modo, anche se in una prospettiva globalmente diversa e con modalità legate alle esigenze tipiche dello studio del latino, almeno per come esso era inteso nelle scuole dell’epoca. Nel complesso, la consuetudine di impiegare exempla letterari derivava dalla pratica della cosiddetta enarratio poetarum, ovvero la lettura e il commento dei grandi autori, componente essenziale nell’insegnamento della grammatica antica. Più nello specifico, queste citazioni erano impiegate non tanto per consolidare una regola, quanto, più di frequente, per registrare forme o espressioni che non rispondevano ai principi regolatori della lingua – tra questi l’analogia, per citarne uno – ma la cui correttezza era garantita dal loro utilizzo da parte degli auctores.
Gli exempla letterari venivano impiegati in tutte le sezioni di cui si potevano comporre i manuali di grammatica, compresi quelli più completi e sistematici, le Artes. Nelle parti dedicate alla morfologia, le citazioni potevano servire a chiarire dei dubia (il genere di un sostantivo, ad esempio) o a garantire l’esistenza di forme concorrenti, magari contrarie alle regole ma attestate dagli auctores (può essere il caso di un verbo con due tipi di perfetto); nelle sezioni su vitia virtutesque orationis costituivano, invece, esempi di errori da evitare e di espedienti retorici con cui rendere più efficace o più bello il proprio scrivere.
Via via la selezione delle citazioni si consolidò e determinate forme, espressioni, particolarità finirono per essere spiegate sempre con gli stessi esempi, dato che dimostra come i grammatici antichi facessero continuo ricorso a manuali precedenti o concorrenti, in una serie di dinamiche che per i filologi moderni costituiscono uno dei campi di ricerca privilegiati.
Gli exempla letterari non presentavano però tutti le stesse caratteristiche; c’erano insegnanti al passo con i tempi, che nei propri programmi amavano inserire autori a loro contemporanei o di poco precedenti (uno di questi era il Remmio Palemone di cui ci parla Svetonio) e insegnanti che invece, come il più tardo Flavio Capro, erano grandi sostenitori dei veteres e sottoponevano all’attenzione dei propri studenti anche brani tratti dalla letteratura a loro ormai lontana. Le diverse scelte di questi maestri (dei quali ci restano soltanto frammenti o testimonianze indirette) si riflettono nella diversa tipologia delle grammatiche che ne derivano: da un lato i veri e propri manuali sistematici e completi (le Artes) e dall’altro le raccolte di regulae, pensate per approfondire selezionate e circoscritte questioni, e organizzate come strumenti di consultazione più che di studio. Le prime, che si rifacevano al manuale di Palemone, prevedevano exempla per così dire classici, in gran parte tratti da Virgilio, Terenzio, Sallustio e Cicerone, i quattro autori di scuola per eccellenza nella Tarda antichità e nel Medioevo. Le raccolte di regulae, invece, derivando dall’opera di Flavio Capro e più in generale dal filone de latinitate (che vuol dire “sulla correttezza linguistica del latino”), prevedevano anche autori arcaici e, più in generale, estranei ai programmi scolastici. Infine, c’erano le Artes orientali, quelle assemblate dai grammatici greci e impiegate per insegnare il latino dove questo non era la lingua madre; all’interno di questi manuali, i più complessi che ci sono giunti, le due diverse tipologie di exempla finirono per coesistere.
Per saperne di più
M. De Nonno, Le citazioni dei grammatici in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (dirr.), Lo spazio letterario di Roma antica, III: La ricezione del testo, Roma 1990, 597-646.
M. De Nonno, Vetustas e antiquitas, veteres e antiqui nei grammatici latini, in S. Rocchi – C. Mussini (ed.) Imagines Antiquitatis. Representations, Concepts, Receptions of the Past in Roman Antiquity and the Early Italian Renaissance, Berlin-Boston 2017, 213-247.
P. De Paolis, Le letture alla scuola del grammatico, «Paideia» 68 (2013), 465-487.
L. Munzi, Tecnica e ruolo dell’exemplum nei grammatici latini, in A. Roselli – R. Velardi, L’insegnamento delle technai nelle culture antiche. Atti del convegno (Ercolano, 23-24 marzo 2009), Pisa-Roma 2001, 125-149.